Come già successo in passato, a volte su queste pagine scriviamo di esperienze che nella loro semplicità raccontano di come anche piccoli gesti possono essere di aiuto al prossimo.
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Sentir pronunciare la parola “tribù” porta a pensare automaticamente a posti come l’Amazzonia, luoghi lontani dal mondo “civilizzato” ed a gruppi di persone che esistono proprio grazie al loro isolamento….almeno fino all’arrivo della prima ruspa…
Poi la mente ci porta a tradurre il concetto di “tribù” in un insieme chiuso di persone che nella salvaguardia di quel gruppo trovano ragione stessa di vita.
Faccio questa riflessione perchè in genere i podisti vengono spesso definiti una “tribù di corridori”… ma pensare a noi come “isolati dal mondo” o come un “insieme chiuso di persone” è qualcosa di molto lontano dalla realtà….anzi, più riusciamo a coinvolgere il nostro vicino, più ragazzi avviciniamo al nostro sport più ne traiamo una strana forma di godimento.
E’ come se fosse un peccato che il bello di ciò che facciamo debba essere cosa per pochi. Personalmente penso che questo senso di benessere unito al rispetto per l’avversario, al sacrificio… se condiviso possa portare qualcosa di buono alla nostra società.
Quindi, riprendendo il filo del discorso, direi che queste due definizioni di “tribù” non calzano per nulla.
Però poi mi viene da pensare che i membri di una tribù si riconoscono anche dai SEGNI mostrati con orgoglio sul proprio corpo e nelle proprie capanne…tatuaggi, indumenti di varia foggia, trofei di caccia …
Ed allora…allorà sì che i conti ora mi tornano. Sui SEGNI di un podista si potrebbe davvero scrivere un libro.
E mi immagino che a questo punto ognuno di noi inizierà a pensare ai mille esempi applicabili…gli orologi dalle forme e colori improbabili, le mille magliette che raccontano storie di posti attraversati e fatiche vissute, i cenni con la mano all’incrociare un altro membro della tribù, le medaglie appese con orgoglio vicino al comodino o le foto in canotta e pantaloncini sparse per casa.
Mi viene poi da sorridere pensando ad un articolo letto qualche tempo fa sui “geroglifici della corsa”, ovvero – numeri e segni visibili solo per chi abbassa lo sguardo sull’asfalto: nei viali alberati di ogni città, nei lungofiume, nei viottoli dei parchi, nelle ciclabili. Sono i simboli che misurano la fatica quotidiana del popolo dei runner – (per chi vuole… I geroglifici della corsa)
Ma la storia che volevo raccontare è ancora un’altra.
Qualche settimana fa, alla macchinetta del caffè sentivo un collega – perfetto sconosciuto – parlare di male alle ginocchia e della necessità di trovare un buon ortopedico a cui affidarsi così finalmente da poter fare un pò di sport.
Come non intervenire nella discussione…eh già, perchè una delle tante cose che ci fanno sentire “membri della tribù” è la lista degli acciacchi, degli infortuni patiti direttamente ed indirettamente nel corso degli anni.
E l’accumulo di questi eventi e dell’averli in qualche modo superati ci fa sentire degli straordinari contenitori di esperienze che non aspettano altro che essere dispensate al momento del bisogno.
Oggi quel collega mi avvicina e mi dice con grandissima soddisfazione…sai, quel nome che mi avevi dato ha fatto il miracolo… ieri ho fatto la mia prima corsa…
Beh…è con sincero piacere che ti diamo il benvenuto nella nostra tribù, Fabio…